VII

UNA PROVA INFELICE DELLA NUOVA POETICA

Il Consalvo ebbe nel periodo precrociano l’onore di lunghe discussioni che andavano dalla sua datazione (variante fra il 1821 e il 1833) alla sua valutazione estetica che dopo i primi entusiastici ammiratori conobbe limitazioni sempre piú rigorose. E in verità anche nel primo caso fu l’incertezza estetica che fomentò queste discussioni poiché, a parte gli argomenti filologici, il Consalvo va collocato fra i nuovi canti come momento inferiore dell’ispirazione da cui nacquero Pensiero dominante e Amore e Morte. Oltre l’accertamento dei punti che ricordano come materia poetica Aspasia e l’amore fiorentino (ad esempio il ritorno del motivo che affascinava il Leopardi in quegli anni: «due cose ha belle il mondo: amore e morte»), è proprio l’impostazione stilistica che non ci permette di allontanare il Consalvo dal periodo dei nuovi canti. Vi ritornano i nuovi modi espressivi anche se fiacchi e poco giustificati da quella tensione personale che pare sostenuta da un surrogato piú scadente: fantasticheria sensuale, sogno di compenso, calore febbrile entro un’azione fra novellistica e drammatica assai vicina alle novelle in versi dell’epoca romantica.

D’altra parte se il Leopardi collocò il Consalvo dopo il Sogno e la Vita solitaria, non lo fece certo solo per nascondere il suo carattere di autobiografia troppo scoperta e leggermente impudica alterando insieme il riferimento cronologico alla sua età, ma soprattutto perché lo sentiva capace di una specie di atmosfera idillica, con un’equivoca vicinanza alla diluizione fra descrittiva e drammatica di alcuni idilli giovanili. Proprio nel 1828 in alcuni appunti in cui parlava di progetti «Idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo» notava: «Addio a Telesilla (morendo)» e «Un uomo nella mia situazione, che parli per la prima volta di amore a una donna ecc. ecc.»[1].

C’è qui evidentemente lo spunto di un abbozzo del Consalvo nato al contatto del ricordo di composizioni giovanili come il Sogno e la Telesilla, ad esse idealmente vicino, ripreso poi e completato nel periodo di Amore e Morte quando finalmente il desiderio vago di amore trovò un oggetto alla sua fantasticheria in un’atmosfera ardente che si riverbera in tutto il canto ed esalta il brio giovanile che ritorna come eco del Sogno e dell’abbozzo drammatico della Telesilla.

Nel ’28 avrebbe probabilmente accentuato il distacco nel sogno della «ricordanza» mentre piú tardi la piega idillica indiscutibile nella concezione iniziale del Consalvo veniva smussata e rilevato il carattere eroico e drammatico pur dentro quella nube di fantasticheria che costituisce senza dubbio il limite piú vistoso di questa poesia mancata. Nel Sogno, a cui qualche critico[2] vorrebbe ridurre il Consalvo, c’è impostazione simile quanto a volontà piú di vicenda gustata che di vera lirica, ma lí essa dà luogo a un abbandono di idillio novellistico e di canto melodrammatico (il precipitato deteriore della poetica idillica) che tra l’altro sono le riprove della incapacità leopardiana a reggere comunque una situazione drammatica:

Donde, risposi, e come

vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto

di te mi dolse e duol?

Anche i frammenti della Telesilla mostrano nella loro origine ambigua la debolezza di costruzione drammatica nel Leopardi che tendeva ad un curioso incontro di idillio arricchito dalla tradizione italiana tassesca e popolaresca e di tragedia classicistica come indica ad es., dopo l’abbozzo di una Erminia, un elenco di opere e autori mescolati: Teocrito, Alfieri, Tragedie greche, Aminta ecc.

Tendenza che nella Telesilla è rivelata dall’iniziale scena di pastorelli e pastorelle con mosse fra Sacchetti e Quattrocento toscano

(U’, u’, che cosa è quel che va saltando?

Un grillo, un grillo, ecc.)

e dalla scena seguente tutta patetica della tentazione e caduta di Telesilla e Girone in cui affiora quel tono di sacrificio quasi compenso di una mancanza di amore

(«Oh come oh come avventurato io fora

se ti cadessi innanzi esangue e bianco,

e scoprendoti il petto e le ferite

dicessi, mira o Telesilla mia,

questo sangue è per te, questo ti diedi

questo sol ch’io potea, la vita e ’l sangue.

Io fremo dal diletto ogni qualvolta

io mel figuro»)[3]

che dové insorgere con nuova violenza come momento deteriore, come impeto pratico – che non riuscí a farsi forza lirica e pur cercò una sua vita letteraria – in un periodo in cui ben diversa era nel Leopardi l’esperienza della vita, una precisa passione dava alla fantasticheria maggiore coerenza ed urgenza e una poetica quanto mai energica e personale aiutava sia pure esteriormente a realizzare il tono di eroico sacrificio personale.

Legato strettamente ad Amore e Morte, il Consalvo ne costituisce come un corollario, un esempio dell’unione di amore e morte realizzata non nella florida fortuna di Raffaello, ma in un estremo limite romantico e avventuroso, sulla punta di una assurda avventura, in una situazione ripresa sí da fantasticherie giovanili complicate con gusto di romanziere non riuscito, ma accettata con gioia in quel momento psicologico e in quella generale posizione spirituale ardente e disperata.

Certo la posizione da cui nasce il Consalvo nella sua natura di compenso è già una deviazione dal centro ispirativo dei nuovi canti e spiega la debolezza complessiva di questa poesia che anche nella costruzione rispecchia un impuro indugiare della immaginazione sui punti che piú «interessano» Leopardi-Consalvo e una riduzione affrettata di tutto ciò che a quei punti conduce. La finzione storica viene ridotta al minimo e riportata vagamente ad un’aura letteraria, di poema secentesco piú che ad una frequentazione di testi romantici[4]; e tutto il peso viene spostato nella parlata di Consalvo in cui il Leopardi cerca di cogliere il frutto del suo impeto nel bacio verso cui si spinge la tensione meno pura del canto.

Ricordandoci di quel tanto di giovanile e di idillico-drammatico che il poeta tentò di rendere eroico e dell’urgenza di compenso propria di questa situazione che poteva corrispondere al precipitato piú torbido di quell’alto momento spirituale, anche una semplice lettura del Consalvo può render chiari la sua limitatezza, e il suo legame con la poetica dei nuovi canti, di cui rappresenta una espressione inferiore ed esterna.

La stessa lettura che voglia valorizzare in qualche modo questa avventura poetica porta sí a rilevare alcuni accenti piú forti, ma soprattutto a rendere continua una esaltazione febbrile, mista ad echi giovanili in un ritmo appassionato e rapido, tanto fremente che le parole divengono provvisorie o letterarie rispetto al risultato di suggestione pratica che la lettura tende a produrre. E un di piú romantico quasi estetizzante (rara impressione per un lettore leopardiano!) concentra l’eccesso di autobiografia, il costume di moda[5], l’abuso di particolari patetici in una musica stanca ed eccitata, languida e febbrile in cui anche l’impostazione narrativa si snatura in ragguaglio, in tappe sbrigative della fantasticheria amorosa senza riuscire a costruire un’ossatura che supplisca al piú genuino discorso lirico.

È il romanticismo leopardiano che cerca la sua via d’uscita piú facile e ad essa adibisce modi tipicamente leopardiani

(e quella man bianchissima stringendo)

con una accentuazione meno lirica, piú pratica, movimenti della nuova poetica legati ad una cadenza piú cantilenata pur nel suo rapimento febbrile, parole usate nel nuovo periodo per distacchi ed affermazioni perentorie (versi 20, 22: mai piú, per sempre, in eterno, eternamente) intonate per la loro abbondanza piú a creare un alone suggestivo e sentimentale che non alla loro funzione di scatto eroico[6].

Cosí pure nella prima parlata di Consalvo l’estrema abilità nel rompere i versi al mezzo (procedimento di questo periodo in funzione di ritmi potenti e marcati) non corrisponde ad una necessità poetica quanto retorica, di eloquenza drammatica: che si ripresenta con maggiore abbondanza di entusiasmo nella seconda parlata (dopo il bacio di Elvira), in cui le parole sembrano caricarsi di un fremito non purificato in poesia.

Come tremar son uso

all’amaro calcar della tua soglia,

a quella voce angelica, all’aspetto

di quella fronte, io ch’al morir non tremo!

Un impeto, sempre paragonabile e sempre inferiore (riproduzione esterna di gradi sublimi) a quelli consimili di Amore e Morte o del Pensiero dominante:

E ben per patto

in poter del carnefice, ai flagelli,

alle ruote, alle faci ito volando

sarei dalle tue braccia, e ben disceso

nel paventato, sempiterno scempio.

Questo è il segno sotto cui è nato il Consalvo e questa è la prova piú «autentica» della sua ubicazione cronologica. Quasi riprova negativa della nuova poetica le cui forme stilistiche si rivelano eloquenti quando non sono sorrette da una forza lirica genuina, come quelle idilliche divengono in simile situazione languidamente melodrammatiche. E proprio qui nel Consalvo si può notare come certo languore melodrammatico e patetico tende a sostituire sempre nella nuova poetica i veri movimenti idillici che non vi trovano piú possibilità di sviluppo. Diremo meglio, i momenti non eroici, non vigorosamente personali si presentano facilmente come languidi, troppo maturi, sfatti.


1 Disegni letterari, in Opere, ed. Flora, I, p. 705.

2 G. Ferretti nella sua Vita del Leopardi, Bologna 1940, p. 322.

3 Ardore di sacrificio che torna con i suoi toni cruenti nel Consalvo con un accento piú cupo e insistente: chi per te sparga con la vita il sangue.

4 Si tratta come è noto del Conquisto di Granata del Graziani in cui si trova una situazione contenutisticamente identica (i riferimenti ad episodi simili dei Pastorali di Longo Sofista, dell’idillio 23 di Teocrito, della leggenda di Jaufré Rudel ecc., indicano con il loro numero solamente come questa situazione potesse essere familiare alla fantasia del Leopardi) e una certa inflessione stilistica certo calcolabile nella lettura del Consalvo, nei suoi limiti di preziosismo concettistico:

Vivi Silvera, e se pur vuoi beato

rendere Osmin ne la fatal partita,

tale ei sarà, se, tua mercé, gli tocca

la sua morte addolcir ne la tua bocca.

Tacque; ed ella chinando al volto esangue

del gelido amator gli ostri vivaci

de la bocca gentil, ferma in chi langue

con la voce il dolor, l’alma coi baci...

Tal dicea sospirando e tal rendea

gli ultimi uffici al moribondo amante.

5 Romanticismo di moda (il Carducci disse: «vestí alla spagnola il povero suo dolore sul modello romantico fra byroniano e francese») che si fa veramente eccessivo e quasi librettistico in certi punti come il finale della seconda parlata:

Addio. Se grave

non ti fu quest’affetto, al mio feretro

dimani all’annottar manda un sospiro.

6 Lo Straccali (ed. dei Canti, 3a ed., Firenze 1934, p. 235) osservò l’uso insolito («quasi non dissi abuso») dell’avverbio «ben» nel Consalvo. È appunto una di quelle zeppe adoperate tradizionalmente a riempire ed ovattare un verso pieno e sonante.